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Episodio 30 – Blood Tracks

Di VALERIO PASTORE

 

 

Sierra Bruja, confine Arizona/Messico

 

Qualcuno disse, una volta ‘Le migliori strategie si dissolvono sempre davanti al nemico’, o qualcosa del genere.

Al che, forse, qualcuno rispose, ‘E perché dobbiamo andare incontro al nemico?’

E’ probabile che quel qualcuno non abbia avuto la fortuna di tramandare quella perla di saggezza ai posteri. Anche se non significa che nessuno non sia giunto alla stessa conclusione, tempo dopo…

 

Il posto di guardia eretto dal Servizio Immigrazione si era distinto per l’efficienza del suo personale nei dodici anni in cui aveva funzionato. Il personale si era dimostrato diligente e molto umano, aveva ricevuto più di un encomio e non uno scandalo per corruzione aveva macchiato la sua reputazione.

 

Il veicolo era un vecchio pickup Ford. Qualunque fosse stato il suo colore originale, innumerevoli viaggi sotto il sole cocente e tempeste di sabbia lo avevano trasformato in un opaco elemento del paesaggio. Solo le tracce di polvere tradivano la sua presenza, all’orizzonte.

Una volta alla settimana, questo veicolo si presentava immancabile al suo appuntamento, alle due del pomeriggio, nell’ora più torrida della giornata. Un pessimo modo di fare affari per ogni coyote che si rispettasse: le ore migliori erano quelle notturne, e soprattutto era fondamentale variare i percorsi e la tempistica.

Ma l’uomo alla guida, come i suoi colleghi, sapeva bene che non aveva nulla da temere da questo particolare posto di blocco. Lui non scaricava clandestini al confine, nossignori. Lui consegnava un carico, ed era pagato bene per farlo.

L’uomo lanciò un’occhiata nello specchietto retrovisore, incontrando gli sguardi spaventati e speranzosi dei cabrònes seduti nel vano. Spaventati, speranzosi…e increduli. Essì, i poveretti ancora non ci credevano che non avevano dovuto pagare un soldo di tasca propria, come tanti avevano dovuto fare, vendendo ogni loro bene in cambio di una misera chance di un lavoro da fame e senza garanzie. Questa gente portava dollari con sé, avrebbero potuto cominciare bene, e spedire generose rimesse a colui che aveva reso possibile il loro sogno americano.

L’uomo al volante fischiettò –incredibile che nessuno ci avesse pensato prima, il che dimostrava che il capo la sapeva più lunga. Invece di distribuire mazzette a pioggia, l’organizzazione si era comprata un intero posto di blocco. Alla luce del sole, mostravano quanto fossero bravi, si erano prestati a farsi riprendere per il National Geographic, mentre delle comparse si spacciavano per clandestini da rimpatriare. Una semplice voce di spesa, ampiamente compensata dal flusso di denaro che tornava attraverso i veri clandestini. I quali avevano una ragione in più per non aprire bocca una volta varcato il confine: loro, i loro familiari ed amici non sarebbero sopravvissuti al tradimento. Stessa cosa valeva per i soldi: chi non versava la sua quota di riconoscenza, e puntualmente, sarebbe stato considerato un traditore.

E finora, nessuno aveva tradito…

 

Il pickup si avvicinò indisturbato al posto di frontiera. Dalla radio, giunsero due schiocchi –il segnale che il campo era sgombro.

“Siete quasi a casa, peones!” tuonò allegramente l’uomo al volante. “Ancora pochi minuti, e continuerete a piedi! Vi daremo acqua e cibo a sufficienza per raggiungere i paesi più vicini, poi sono cavoli vostri! Se avete domande, statevene pure zitti e ringraziate di avere viaggiato con le nostre linee!” Si mise a ridere come se quella fosse stata la cosa più buffa del mondo.

 

Il pickup si fermò davanti ai cancelli. Di qui, durante le false retate, passavano le comparse che venivano opportunamente schedate prima del ‘rimpatrio’.

L’autista clacsonò allegramente all’indirizzo delle due guardie in uniforme grigia e nera. “Olà, cabrones! Oggi ne ho dieci tutti per voi! Non dite che zio Pedro non vi pensa!” E rise ancora, mentre batteva la mano sullo sportello. Lo aprì e saltò fuori con un’agilità che contrastava con il fisico tozzo e sgraziato, i fianchi bene arrotondati da anni di quel lavoro. “Ehi, ho bisogno di andare al bagno prima che lo facciano i nostri amici.” Senza aspettare il permesso, si diresse verso l’edificio principale. “Dannato lavoro, dovrei assicurare la vescica! Ma ancora sei mesi, e mi ritiro ad Acapulco, giuro!” Lo diceva da sei anni, ormai…

“E perché solo dieci? La quota è dodici, lo sai.”

Pedro si fermò sui suoi passi. “Ah, imprevisti del mestiere,” disse, voltandosi. “Due si sono beccati un coccolone durante il viaggio. E dire che erano anche dei bei ragazzotti, avrebbero lavorato bene e a lungo nella fertile terra del capitalismo. Tranquilli, li ho lasciati andare nel solito posto. Ora, posso andare a fare quello che devo o ve la faccio sulle scarpe?” Il tono continuava ad essere leggero, ma Pedro poteva permettersi di parlare così a quelle stesse persone che avrebbero potuto ucciderlo senza rimorso. “Branco di sassi ben vestiti,” borbottò, “come se fossero loro a portare i peones attraverso mezzo deserto, ma noo, loro devono solo sfoggiare sorrisi alle telecamere, loro…”

 

Quando arrivò al bagno, si sentiva pronto ad esplodere –accidenti al suo vizio di bersi caffè prima del viaggio, eppure lo sapeva che effetto gli faceva! Ma che cavolo, almeno non aveva vizi peggiori!

Pedro sbatté la porta dietro di sé, aprì la patta e si lasciò andare con un lungo sospiro quasi orgasmico. Una volta finito, si sarebbe fatto il solito pisolino e poi un altro mezzo litrozzo di caffè per guidare lucido fino a casa, pronto per un altro carico…

Carico di questi propositi, Pedro stava aprendo la porta per uscire. Non vide e né sentì la figura spettrale che emerse dal fondo del bagno, una figura umana completamente vestita di bianco come un cavaliere del vecchio west, ad eccezione dell’ampio mantello e della maschera che copriva completamente il volto ad eccezione di due occhi duri e pure bianchi.

Pedro sentì solo la fin troppo reale, fredda punta della canna di una pistola contro la sua tempia…e l’nconfondibile suono del cane che si sollevava.

“Sono appena emerso dal fondo di un WC turco,” disse la figura con una voce intonata alle sue apparenze. Se Pedro non si fosse appena svuotato, lo avrebbe fatto istantaneamente. “Perciò non mi fare innervosire ulteriormente. Sei in arresto per tratta di clandestini ed omicidio. Se confessi, vivi. Se mi chiedi un avvocato, ti dò un proiettile. Domande?”

 

In un certo senso, le guardie invidiavano Pedro e tutti gli altri Pedro con cui avevano a che fare: almeno i coyotes facevano qualcosa, la loro routine era sicuramente più eccitante che posare come belle statuine a beneficio dell’ufficio PR. Nessuno dei peones che scrutinavano regolarmente aveva mai dato un solo problema: rifocillare, dissetare, curare e spedire nei confini, punto. Tanti ne arrivavano, tanti se ne andavano. E chi stava troppo male per strada o moriva veniva scaricato in mezzo al deserto senza tanti complimenti –era poi quella la ragione per cui i coyotes di questa particolare organizzazione preferivano questa rotta. Niente testimoni, e la natura faceva in fretta a fare scomparire le tracce.

Anche se, teoricamente, queste guardie erano dei professionisti ben pagati ed addestrati, erano passati anni dall’ultima volta che avevano affrontato una qualsivoglia minaccia. Erano diventati lenti, goffi. Il Punitore avrebbe potuto ucciderli a mani nude, tutti.

Ma servivano dei testimoni.

Una luce nel cielo attirò l’attenzione di una delle guardie. L’uomo aggrottò la fronte. Continuando a fissare quel puntino in rapido avvicinamento, accese il walkie-talkie. “Ehi, Paul! Aspettavamo la stampa e nessuno mi ha detto niente?”

Statica. “No, niente visitatori, neppure a sorpresa. Perché?”

“Oggetto in rapido avvicinamento. E’ un aereo…no, è un elicottero, no, è—in rotta di collisione, cazzo!” La guardia si gettò appena in tempo dalla sua postazione, prima che una specie di missile la mandasse in pezzi!

L’uomo vide il suolo avvicinarsi. Se fosse stato fortunato, se la sarebbe cavata con una—frattura?

Un paio di potenti braccia lo afferrarono un momento prima dell’impatto. Per un momento, pensò di dire ‘grazie’ al suo salvatore… Poi riconobbe il costume. Anche se aveva abbandonato il look da ‘Village People’ con casco piumato, passando ad uno spandex con i colori dell’uccello da cui aveva preso il nome, con una maschera pure bianca, e uno scudo al braccio che ora completava arco e faretra, Aquila Americana rimaneva un supereroe. Uno che combatteva i contrabbandieri di uomini.

“Tu hai molte cose da spiegare,” Aquila disse con una voce profonda come il tuono.

 

“Lo hai sentito?!” chiese una delle donne nell’infermeria. Mormorii di panico cominciarono a diffondersi nella sala d’attesa.

“L’ho sentito, infermiera Tipps, e allora?” chiese la donna in camice bianco, che per un attimo si era fermata nell’atto di vaccinare una clandestina. “Le malattie se ne fregano dei nostri problemi, quindi per favore continui ad assistermi con questi pazienti.” Qualunque cosa fosse, non doveva essere grave, o gli allarmi si sarebbero attivati. E comunque, i pazienti in attesa là fuori si erano già calmati…

La porta si aprì. Il medico stava ora controllando la gola della donna –brutto caso di faringite, meglio darle una sistemata prima che le sue condizioni mediche attirassero l’attenzione del Ministero della Sanità. “Tipps, dica loro di aspettare il turno! Se ci tengono tanto a lavorare come giardinieri e lavapiatti, che almeno lo facciano in buona sal—“ fu interrotta contemporaneamente da un mostruoso ruggito e da una mano impellicciata che l’afferrò per il collo, sollevandola e sbattendola di faccia contro il muro! Avvenne così in fretta che non ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo, incapace di avere paura per qualcosa che ancora non aveva processato…

Poi sentì l’odore ferale di un animale addosso a sé, e la voce inumana che diceva, “Dottoressa Montale. Io sono Puma, e fra lei e la morte c’è solo la mia clemenza. Se la guadagni confessando i suoi crimini.”

 

Il Direttore del posto di blocco non era stato messo su quella poltrona per la sua stupidità. Sapeva cosa stava succedendo, sapeva quali contromisure prendere nel caso di un attacco da parte di super-esseri, e quelle contromisure erano state testate regolarmente –sicuramente più collaudate dei riflessi dei suoi uomini.

Apparentemente, le persone che lo avevano nominato Direttore non avevano previsto che il sistema di autodistruzione degli archivi elettronici potesse scegliere il momento sbagliato del giorno sbagliato per non funzionare!

Ma che le ipotesi – coincidenza o hackeraggio – andassero al diavolo! Ora contava solo assicurarsi di lasciare solo un mare di rottami in mano alle autorità. Il Direttore aveva un compito preciso, pena la sua intera famiglia: eliminare i segreti.

L’uomo arrivò di corsa alla sala server. Trovò la porta aperta. Mise mano alla fondina ed estrasse la pistola d’ordinanza –inutile essere prudenti, adesso. Chiunque ci fosse là dentro era dalla parta sbagliata, eroe o no. E per quanto ne sapeva, non tutti i Rangers erano a prova di proiettile…

Il Direttore entrò nella stanza, guardandosi intorno, puntando l’arma prima a sinistra, poi a destra. Tutto sembrava funzionare, le macchine ronzavano placidamente, il condizionamento continuava a fare il suo dovere... Se non fosse stato per la porta aperta, avrebbe davvero pensato ad un guasto…

L’uomo svoltò un angolo, diretto al terminal di controllo. E le sue peggiori paure trovarono conferma quando vide un uomo…in tuta da meccanico azzurra, seduto al terminale.

Senza neppure voltarsi, l’uomo disse, con una voce come se quella fosse la cosa più normale del mondo, “Ah, non badare a me capo! Finisco di trasferire questo paio di terabyte nella mia unità esterna e me ne vado buono buono. Belle scatolette, a proposito! Ne saprei assemblare una in un’oretta e con uno sfasciacarrozze nelle vicinanze.”

Il Direttore sollevò l’arma, puntandola alla testa di quel folle –sapeva che Coyote Cash era uno bravo con l’elettronica, ma non era invulnerabile!

Un ringhio, basso e minaccioso, pura brama di sangue, venne da dietro di lui. Il direttore si voltò d’istinto. Ebbe appena il tempo di vedere la sinistra sagoma rossiccia di un lupo…prima di venire colpito alla tempia.

“Tsk, Red Wolf, prima gli si leggono i diritti, poi si colpiscono,” disse Coyote, immettendo gli ultimi comandi. Poi si alzò in piedi, un disco fisso portatile in mano. “Fatto! Decompressi, decriptati & ripuliti. Il Procuratore Generale andrà fuori di matto. Con tutta la gente che è passata di qui avresti potuto popolarci una nuova Phoenix.”

L’indiano Cheyenne, vestito del suo abbigliamento tribale completato da una pelle di lupo sul capo e la schiena, si mise il Direttore su una spalla. “James Jackson risponderà non dei suoi diritti, ma delle sue colpe,” disse, laconico come sempre. Si diresse verso la porta, seguito da Lobo, il suo fedele lupino compagno. “Gli altri dovrebbero avere finito, ormai. Le confessioni del personale chiave completeranno le prove raccolte.”

“Sì, buona fortuna. Se questi parlano, gli estinguono la famiglia. I loro capi fanno sembrare il vecchio Wilson Fisk un dilettante della prima ora, e non sappiamo nulla. Non è gente che si faccia pubblicità, e per quanto ne sappiamo potrebbero essere una branca dell’Hydra, o l’Impero Segreto, o il Maggia, o—“

“Da quando dei trafficanti di clandestini devono appartenere per forza a cartelli cospiratori globali?”

“E da quando hai cominciato a parlare come un politico? Non è che voglio essere pessimista, ma da una prima occhiata a quei dati ho visto delle manovre che non sono certo proprie di un mafioso da strada. Non che pensi che la mafia non sia pericolosa—“

“Pensi che li potremo colpire duramente?” Red Wolf lo interruppe.

“Diamine, sì!” Di dati ce n’erano più che a sufficienza per iniziare una spedizione punitiva in grande stile.

“Allora taci.”

 

“Gli elicotteri saranno qui a breve,” disse la donna che, a dispetto del passaggio degli anni, ancora indossava il suo colorato costume bianco e blu da cowgirl. “Io e Twister abbiamo sistemato il resto delle mezzecartucce. I messicani stanno bene, e i futuri testimoni sono sottochiave nel Thunderbird.”

Red Wolf, Jackson ancora sulla spalla, disse, “E dove sono lui e Firebird?”

La donna texana si toccò la tesa del cappello bianco. “Sono alla ricerca di due ragazzi: un fratello e una sorella Kickapoo. Il co—l’autista” si corresse allo schiarir di gola di Cash “ha tolto loro le scarpe e li ha lasciati nel mezzo della Serra Bruja quando lei ha perso i sensi. Il fratello non l’ha abbandonata.”

“L’autista me lo ha spiegato,” disse Phantom Rider. “Si prendono cura solo di quelli che sono in grado di continuare a piedi da soli, una volta superato il confine. Devono nascondersi, non essere trovati subito dalle autorità.”

Mentre il Cheyenne si dirigeva all’aereo, Puma si rivolse a Cash. “Coyote, hai sistemato le comunicazioni?”

Il Ranger Apache mimò un saluto militare. “Le intercettazioni e il software IA continueranno a far credere ai loro capi che va tutto va bene e che tutto è sotto controllo. Diciamo che abbiamo un paio di giorni di vantaggio, se a nessuno è venuto in mente di cambiare i calendari delle turnazioni.”

Shooting Star guardò verso il velivolo di trasporto dei Rangers. Scosse mestamente la testa, al pensiero dei passeggeri  imbarcati e in attesa di tornare da dove erano venuti. “La cosa peggiore è che alla fine non possiamo neppure garantire asilo a quella povera gente.”

“Sai che la Governatrice ha le mani legate,” disse Red Wolf, emergendo dal ventre del Thunderbird. “Con le elezioni vicine, non può permettersi di mostrarsi debole di fronte al fenomeno dell’immigrazione clandestina, specie adesso che la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale la legge dell’Arizona sugli immigrati”

“E allora perché mi sento come il braccio mercenario della legge?”

Cash sollevò il dito come uno studente in classe. “Perché questa organizzazione misteriosa e molto bene organizzata è responsabile dei più grossi flussi clandestini degli ultimi due anni e abbiamo accettato di collaborare come agenti governativi per stroncarla e guadagnare medaglie da boy scout!”

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Si chiamavano… Come si chiamavano?

Aveva importanza?

Importava che erano vivi, solo questo importava. E la loro sofferenza provava che erano vivi.

Il Sole picchiava sulle loro teste, bolliva il loro sangue, cuoceva le loro carni che pure dovevano essere assuefatte ai climi spietati di questa terra. Qui i loro antenati, secoli fa, migrarono pur di non concedere le proprie anime alle leggi dell’uomo bianco invasore. Qui, questi due giovani erano cresciuti nel rispetto delle loro radici, come ogni altro membro della loro tribù, in un fiero isolamento, vivendo della terra intorno a loro, senza nulla chiedere ai bianchi, senza nulla pagare loro.

Ma neppure questo era bastato a tenere lontani gli usurpatori dalle loro vite. Dalla loro famiglia…

Da quanto tempo stavano camminando? Il suolo arido e ardente bruciava attraverso la suola delle scarpe… No, non avevano le scarpe. I loro piedi erano come scarpe, nella loro tribù raramente si portavano. Le calzature erano per i deboli.

Ma il suolo della Sierra Bruja era una bestia mordace e non dava loro tregua. I piedi erano stati scuoiati dalla sabbia tagliente come quella marziana, il sangue si induriva sotto il calore e formava uno strato che si riapriva ad ogni passo… Il cervello aveva smesso di processare il dolore.

Casa.

Dovevano tornare a casa, niente altro contava. Dalla loro gente. Non fuggire nelle braccia dell’uomo bianco, solo perché sua sorella aveva commesso un errore.

Come si chiamavano? Perché non gli tornava in mente?

Il ragazzo proseguì il suo zoppicante percorso. Non sudava più, e neppure la gemella che portava in spalla. Lei era ancora inerte, la vita traditrice dentro di lei forse le avrebbe risparmiato l’ultima agonia…

“Siamo stati puniti, padre,” gracchiò il ragazzo. Non riconobbe la propria voce. C’era un’orribile allegria in essa, quasi stesse cantilenando. “Guarda il nostro dolore, padre. Senti l’odore del nostro dolore.” Era la voce di un guerriero, ferito, ma ancora fiero, indomito. Un Kickapoo.

Non si sarebbe arreso, e neppure sua sorella. Il loro errore non era stato accettare un uomo bianco nelle loro vite, disonorando la famiglia, la tribù. Il loro errore era stato trasformare il giusto esilio in una patetica corsa verso un paese alieno, che non era più loro, contaminato, perché lei voleva ritrovare…un turista! Voleva dare un padre al bambino! Un mostro mezzosangue che non avrebbe neppure dovuto nascere!

Ma erano stati deboli, tutti deboli! A partire dai loro genitori, che avevano rimesso la sopravvivenza del bambino nelle mani degli spiriti. E come era stata riconoscente quella sciocca di sua sorella, quella stupida, ingenua—

Il ragazzo scosse la testa –no, quelli erano pensieri indegni. Il sangue era sacro. Se avesse rinnegato sua sorella, soprattutto dopo averle fatto giuramento di proteggerla e vegliare su di lei, sarebbe stato colpevole alla pari di quel bianco profittatore.

Lui non voleva che lei desse alla luce il piccolo mostro, ma non poteva farci nulla. Causare un aborto con la forza sarebbe stato un atto contro di lei, una violazione del suo giuramento.

E così erano giunti ad un accordo: prima che il bambino nascesse, avrebbero trovato il padre e glielo avrebbero dato. Che fosse l’uomo bianco a gestire la propria responsabilità, fino in fondo, o il ragazzo gli avrebbe spezzato il collo con le sue mani.

Se il bambino fosse nato prima di trovare il padre, lo avrebbero lasciato ai preti e alla grazia del loro patetico, falso dio. Dicevano di amare la vita sopra ogni altra cosa, che mettessero in pratica le loro parole!

Ma non sarebbero andati negli Stati Uniti. Non sarebbero andati da nessuna parte. Avrebbero camminato per sempre nella terra di mezzo, fra sogno e realtà, fino a quando gli spiriti non avessero preso una decisione. “Guardaci, padre,” gracchiò il ragazzo con la voce di un vecchio. “Guardaci…”

Non sentì neppure dolore, quando, strascicando il piede, inciampò contro un sasso. Si ruppe malamente il dito e due unghie. Non sentì dolore, ma cadde in ginocchio, assicurandosi di tenere a sé sua sorella.

Rimase così, carponi, fissando il suolo, con la sabbia che lanciava bagliori caldi come quelli dei diamanti. L’orizzonte era un lontano mare tremolante e lucido come uno specchio—

“Ti sto guardando, piccola testa di cazzo,” disse una voce, scuotendolo dal torpore. “E non mi piace quello che vedo, quindi perché continui a disturbarmi con la tua cantilena?”

Il ragazzo mosse il volto ustionato verso la voce. Che voce buffa, pensò. Proprio una vocina strana, gracchiante e acuta. Neppure un bambino parlava così…

Il ragazzo mosse il volto ustionato verso la voce, e i suoi occhi quasi ciechi si scoprirono a fissare…uno scheletro. Il piccolo scheletro di un uccello, le ali di ossa aperte come ad abbracciare il suolo roccioso…

“Ma guardati un po’,” disse la cosa morta, con quella voce macabra e comica allo stesso tempo. “Osi avventurarti nel nostro regno per salvare la vita di un’ingrata che per prima ci ha voltato le spalle, giacendo con l’usurpatore.”

“...Salvala,” il ragazzo disse. Se questo era davvero il regno dei Grandi Spiriti, perché soffriva come se fosse ancora nel mondo reale? Cosa era reale?

“Di reale c’è che siete finiti entrambi. Non vivrete che per pochi minuti ancora. Tutta questa strada per unirvi ai tanti stolti che hanno riposto la loro fede nell’uomo bianco. Guarda.” Le orbite vuote dello scheletro corvino brillarono.

Il ragazzo si trovò circondato da anime. Un mare di anime dallo sguardo vacuo e i volti scavati dal sole e dall’arsura, eterno memento della loro illusione di una nuova vita, destinate a camminare per sempre alla ricerca di un traguardo perso in un orizzonte infinito...

Il giovane Kickapoo provò a rialzarsi. Lui non era morto, lui non era come loro! E non lo sarebbe diventato. “Non ti ho pregato...” disse, sollevandosi nonostante ora la sorella gli sembrasse pesare come un macigno.

Lo scheletro mosse la testa a seguire gli zoppicanti movimenti della figura mortale. “Scusa, non credo di avere sentito bene. Non ho più padiglioni auricolari, ormai.”

Continuando a guardare davanti a sé, il ragazzo disse, “Non ti ho pregato. Ti ho detto di guardarmi. Andiamo a casa...”

Le ossa sbiancate fecero un rumore come di ciottoli, quando la cosa morta si mise in piedi. “Sei a casa, sciocco. Sei solo troppo testardo per capirlo A differenza di tua sorella.”

Il ragazzo si fermò. La sinistra determinazione sul suo voltò lasciò spazio prima alla perplessità, poi all’incredulità.

Poi riprese a camminare. “Lei è viva.”

Lo scheletrico corvo ridacchiò. “E allora perché ti porti un sasso sulla schiena?”

Lui voltò la testa. Faceva troppo caldo, non aveva più fiato nei polmoni, le pareti della gola erano riarse come il suolo su cui stava trascinando i suoi piedi.

Eppure, quando vide che la figura di sua sorella era stata sostituita da una statua di pietra, si mise a urlare.

E a quel punto, con lugubri scricchiolii, il pezzo di pietra iniziò a sgretolarsi, poi a cadere in pezzi e i pezzi cadendo a terra divennero polvere.

Il ragazzo cadde in ginocchio. Singhiozzando, cercò invano di rimettere insieme il mucchio di sabbia che era stato un essere umano. Ma ogni volta che le sue dita affondavano in quella specie di talco impalpabile, un dispettoso refolo di vento portava via la polvere in mulinelli.

E fu solo a quel punto, che il giovane Kickapoo si lasciò andare, piangendo, imprecando, piegato in due sull’impietoso suolo della Sierra, i gomiti piantati nella sabbia, la testa nascosta fra le braccia.

Aveva fallito! Era la sola ed unica verità. Aveva fallito, tutto ciò che aveva di prezioso era perso. Aveva voluto risollevare la dignità della sua famiglia, ed aveva fallito. Era indegno del suo stesso nome, per questo non lo ricordava! Apparteneva già alle schiere dei morti erranti, era la sola, giusta  punizione per la sua esecrabile debolezza—

“Di esecrabile, qui, c’è solo la tua stupidaggine, mortale!” La voce del corvo ora giunse come una sferzata nella sua mente. E la voce non aveva più nulla di comico, ora. E non veniva più da dietro di lui...

Il ragazzo sollevò lo sguardo. Si era levato il vento, un vento caldo e soffocante, fatto di sabbia e di odori di corpi mummificati. La sabbia tagliava i suoi occhi, offuscava la sua vista.

E un gigantesco corvo nero sovrastava tutto –o meglio, l’ombra di un corvo, una cosa dagli occhi gialli e cattivi e le ali spiegate.

Alla sua vista, il giovane indiano dimenticò ogni dolore del suo corpo. In effetti, si sentì come rinascere...

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“GWARGH!”

L’urlo di Phantom Rider colse tutti di sorpresa, per usare un eufemismo. Tutti non poterono fare altro che guardare il loro amico irrigidirsi, piegarsi in due mentre si teneva la testa come nel tentativo di impedire al cranio di esplodere. E di sicuro, non lo avevano mai visto in preda ad un simile dolore!

Di sicuro, Hamilton Slade non aveva mai provato qualcosa di così lancinante. Si sentiva come se ogni cellula del corpo volesse strapparsi in due.

Shooting Star fu la prima ad avvicinarsi al bianco cavaliere per prestargli soccorso…e sussultò quando la mano guantata l’afferrò con una forza terribile, minacciando di spezzarle il polso! Una parte di lei notò con curiosità che il tocco di Rider era…gelido, adesso. Un gelo che le stava rapidamente intorpidendo il corpo.

“No,” disse…chi?

Sotto gli occhi dei suoi compagni, Phantom Rider si stava trasformando. Corte lingue di fuoco, come di un pezzo di carta che stesse bruciando lentamente, stavano consumando il costume, dando all’intera figura un aspetto minaccioso, come di qualcosa da poco emerse dalla tomba. La sua stessa voce era diventata più crudele, tetra, priva dell’umanità di Hamilton Slade. “Questa non è una cosa che potete affrontare, mortali. Solo gli Dei…e Phantom Rider possono. Voi statene fuori, o vi grazierò uccidendovi prima che lui possa colpirvi.”

Coyote Cash indietreggiò fin quasi a trovarsi a contatto con Puma –normalmente quel grosso gattone figlio di un morboso programma genetico gli metteva l’ansia, ma ora lo avrebbe pagato per farsi proteggere. “Eh, che sta succedendo se non chiedo troppo?”

Puma, pur tenendosi in posizione d’attacco, stava per rispondere…quando Aquila Americana lo fece per lui, lo scudo già levato in difesa. “Succede che quello è ancora Phantom Rider, ma privo dell’influenza mitigante di Hamilton Slade.”

“BANSHEE!” il cavaliere chiamò. “VIENI A ME!”

Il nitrito che ne seguì era invero degno del nome di un destriero un tempo appartenuto, si riteneva, a uno sceriffo di nome Carter Slade.

Ma quando il suolo iniziò a creparsi, e poi ad aprirsi per lasciare emergere un’orribile figura fiammeggiante e demoniaca, anche quei Rangers che sospettavano la verità ne furono intimiditi.

Phantom Rider saltò a bordo della bestia infernale, che ad ogni respiro sputava nuvole gemelle di vapori e fiamme. Poi il cavaliere si rivolse ai suoi ‘compagni’. “Andate via da qui, mettetevi in salvo,” disse, laconicamente, prima di spronare il destriero.

Banshee emise un nuovo, orribile nitrito e partì…o meglio, schizzò via, ad una velocità che neppure un veicolo da corsa avrebbe potuto eguagliare, lasciandosi dietro tracce infuocate di zoccoli.

“Dovremmo seguire il suo consiglio,” disse Aquila Americana, continuando a guardare nella direzione in cui il loro amico era partito.

“Saggezza del popolo,” concordò Cash. “Credo che aspetterò per le spiegazioni di prammatica, sì..?” poi gli venne in mente una cosa che Rider aveva appena detto…

‘Solo gli Dei e Phantom Rider’.

L’indiano si guardò attorno. “Dov’è Red Wolf?”

Puma ringhiò un’imprecazione. “La battaglia si sta spostando su un piano oltre le nostre capacità. Star!”

La donna stava già aprendo un canale. “Twister, mi senti? Firebird?” Le risposero scariche di statica. “Drew? Bonita? Abbiamo un problema, uno grosso, rispondete!”

Tra le scariche, finalmente emerse una voce. “Sì, dolcezza, penso proprio che tu possa dirlo forte.”

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Texas Twister era in piedi davanti a quella che sembrava una gigantesca tempesta di sabbia… Solo che questa tempesta non si muoveva, se ne stava lì come un globo di vento e polvere, scosso da un ruggito bestiale e interminabile, condito da lampi abbaglianti che si accendevano senza uno schema apparente. Drew Daniels non poteva fare a meno di pensare a mostruosi occhi che si aprivano e chiudevano…

Il texano cercò di replicare al meglio quello che stava vedendo. “Ragazzi, lo ammetto: questa cosa mi fa più impressione del tornado che mi colpì. Deve essere ampio almeno tre miglia e alto uno.” Voltò la testa verso la figura fiammeggiante che stazionava nel cielo sopra la formazione tempestosa. Una figura che sembrava a malapena la fiammella di un cerino. “Bonita?”

 

Vista dall’alto, la formazione non presentava un ‘occhio’. Era più simile ad una cupola. “Non ho idea di cosa possa essere, ma posso dirvi che la sua natura è magica: la forza fenice in me reagisce ad essa. Vado a dare un’occhiata—“

“Pessima idea!” la interruppe Cash attraverso la radio. Tra le statiche, riuscì miracolosamente a spiegare cosa fosse successo a Phantom Rider e della scomparsa di Red Wolf. “—potere di un dio, meglio non prova—“ ora il contatto stava degenerando sul serio.

Firebird viveva un rapporto, con le forze oscure: le percepiva, ne era attratta come un polo positivo dal negativo. Da quando aveva accettato che doveva combattere contro il male, aveva imparato a fare un migliore uso di quel potere donatole dal cielo, perché se anche era stato frutto di esperimenti alieni andati male, gli alieni a loro volta erano stati strumenti di Forze Più Grandi, acciocché il potere che ora permeava il suo corpo fosse messo ad uso per il bene.

Bonita non aveva paura di morire, non temeva il pericolo: temeva solo la paura del pericolo.

E si gettò verso la cupola rotante.

 

Texas Twister guardò la cometa fiammeggiante scendere, e imprecò pesantemente, prima di usare la sua capacità di generare venti ciclonici per gettarsi in suo soccorso. Proprio mentre stava arrivando un certo cavaliere infernale…

 

Phantom Rider osservò quella mossa senza alcuna compassione –gli stolti non avevano capito che era già troppo tardi…

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“Dimmi, giovane guerriero. Non hai più una famiglia a cui tornare, non hai più una casa dove abitare, e ciò a cui tenevi non è più di questo mondo mortale. La tua vita sta scemando, eppure ti aggrappi ad essa.” Il maestoso uccello di ombra osservò con occhi curiosi la piccola entità che ora si era erta in piedi, ricambiando la curiosità con espressione stoica, forte. “Dimmi, giovane guerriero, cosa ti tiene ancora in piedi a guardare un dio?”

“Giustizia.” Il giovane lo disse come se quella sola parola stesse ridando nuovo vigore al suo spirito. “Giustizia per ogni male fatto alle nostre genti! Giustizia per la corruzione che striscia nei discendenti dei fieri guerrieri, trasformandoli in appendici dell’uomo bianco! Giustizia per il mondo che l’uomo bianco avvelena con la sua presenza e la sua sete di denaro!” Il ragazzo puntò un dito all’indirizzo dello spirito. “Se tu non sei Coyote sotto mentite spoglie, allora sei qui per me, perché possa fare giustizia! Trasformami in polvere se sbaglio!”

Il corvo stese le sue possenti ali intorno al ragazzo. “Non sbagli, giovane guerriero. Come te, soffro per la mia gente, che prima fu sterminata col sangue, le armi e le malattie, e ora si fa assimilare come tanti animali da pascolo, perdendo la propria identità, imitando i conquistatori per accattivarsene la benevolenza.” Nel buio intorno a lui, dominato dalla voce del Corvo, l’indiano vide immagini di una vita appartenuta ad un’altra persona, un altro membro del popolo. “Come te oggi, scelsi un avatar che mi rappresentasse, che rappresentasse il Sogno del popolo. Un guerriero capace di levarsi e guidare la riscossa.

“Ma anche quell’avatar fallì. Il suo spirito non era forte, il suo cuore era devoto alle leggi dell’uomo bianco, e combatté per proteggerle. Diedi forza al suo corpo malato, e quando capii che non avrebbe servito il Sogno, lo lasciai andare ed ora giace nella madre terra, onorato dagli usurpatori.” Le piume d’ombra toccarono il corpo del giovane, dissolvendo gli abiti laceri e sgualciti, dissolvendoli, rivelando il corpo nudo sottostante. “Ora chiedo a te la stessa cosa: sei pronto ad abbracciare il mio potere per cantare il grido di guerra, vendicarci e ristabilire il vostro posto nella terra che vi donammo?!”

Il tocco delle piume era gelido e rovente allo stesso tempo. Il giovane Kickapoo sfoggiò un ghigno feroce. “Io ti accolgo in me. Completamente, senza riserve. Vincerò nel nome della mia gente, o morirò nel tentativo!”

“Così sia, allora!” le piume divennero pugnali, e perforarono la carne.

 

Phantom Rider vide i due eroi entrare nel vortice nel momento in cui il rito fu completato.

Vide la cupola di polvere e luce contrarsi con un ultimo ruggito, come una stella al collasso finale.

E poi quel punto di tempesta, ormai grande come un uomo, esplose. Lame di luce nera trafissero l’aria in una sinfonia mistica di distruzione. Banshee fu colpito da una di quelle lame, e la sua figura si dissolse in un terribile nitrito di dolore. Phantom Rider cadde a terra con un grugnito, anche se non perse per un momento di vista la figura che teneva per il bavero gli inerti Texas Twister e Firebird.

Gli occhi del rinato guerriero lampeggiavano contro il cappuccio del mantello di piume d’ebano che lo copriva fino ai piedi, brillavano come i tatuaggi di guerra lungo il suo corpo.

“Ascoltami, vero popolo di questa martoriata terra! L’avatar incarnato è rinato, il potere degli spiriti è ancora una volta fra voi per concedervi la possibilità di riconquistare ciò che vi fu tolto con disonore! Oggi sacrificherò questi due simboli dell’arroganza dell’uomo bianco usurpatore per battezzare la nostra terra e il nostro Sogno! Così giura